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lunedì 8 settembre 2008

Attenzioni

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Massì, alla fine, a chi non piace fare gossip su di sé?

Chi non prova un po' di quel puro piacere infantile e narcisista nel sentire parlare di sé e nel darsi un po' d'arie per questo?

Chi disprezza davvero totalmente la propria storia da non volerla metterla in mostra mai? Chi non racconterebbe mai qualcosa di sé anche solo per il semplice gusto di essere il soggetto di una banale conversazione?

Sempre nel limite dell'accettabile, chiaro. Intendo, un po' di dignità e un po' di modestia, per piacere.

giovedì 14 agosto 2008

Complicazioni

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Io non sono mai stata davvero capace di autogiudizi, sia in negativo, ma soprattutto in positivo. Anzi, ora che ci penso, i rimorsi sono una conseguenza dell'autogiudizio, di quel procedimento, cioè, secondo il quale si verifica un parziale distacco DA se stessi e un'osservazione DI se stessi con un occhio che sia pulito e depurato dalla storia personale passata, dalle sensazioni del momento, dagli altri.

Ecco, forse è un tantino complicato, non è così? Per me lo è parecchio.
E un errore su se stessi che entra a far parte delle nostre convinzioni, dei nostri assiomi di vita, può rivelarsi fatale. Può portare seriamente a delle complicazioni nei rapporti con gli altri e con se stessi.

E' una malattia. Una distorsione. Per questo non bisogna mai temere di parlare di se stessi con gli altri; non si è egocentrici per così poco, noooo!!!
Complicazioni... e quando finiscono mai!

Per fortuna che al mondo ci sono tante persone che si ritengono più intelligenti della maggior parte di quelli che conoscono. E chi avrà mai ragione...

martedì 27 maggio 2008

Shhhhhhh

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Certa gente non sopporta il silenzio. Io, invece, lo adoro.

Come esistono le pause in musica, bene, esistono momenti di silenzio anche nel bel mezzo di una discussione verbale tra chicchessìa (che bella parola da dire). Esiste anche il silenzio teso tra due amici che fremono dalla voglia (o solo dal bisogno) di sparare a raffica tutti i pensieri che frullano nella loro testa, ma che, non si capisce per quale strana forza, si ritrovano a bocca chiusa entrambi.


Perché si dovrebbe collegare il momento di silenzio a imbarazzo?

Io non mi sono mai imbarazzata del silenzio che si crea qualche volta dopo un po' che parlo tranquillamente con qualcuno. Perché riempire spazi di apparente "vuoto" con parole superflue? Se un momento esige il silenzio, concediamoglielo! Accordato!


Non capisco perché ci si ritrovi spesso nel bisogno di costringere una conversazione. Una volta ho fatto notare a una mia amica come la spaventino, nel vero senso della parola, quei pochi momenti in cui ci ritroviamo entrambe inumanamente (tono ironico) senza parole: le sembra che non siamo più "sintonizzate" e che la nostra capacità di ascolto reciproco penda unicamente da scambi di battute. Fragile come cosa, io trovo.


Nelle poesie del Pascoli, il silenzio è segnalato dai puntini di sospensione... Un silenzio che prelude chissà cosa di nuovo e misterioso, che forse solo l'immaginazione ci permetterà di intravedere. Al posto di quei tre puntini, tutto e niente. Che bello.


Anche il silenzio implica, come il dialogo, un ascolto.

Sì, è un altro livello di percezione, sicuramente, ma è anch'esso da gestire, e non è semplice. Porgigli l'orecchio ogni tanto: avrà tanto da raccontarti. Dagli il giusto respiro. E vivilo, come ogni altra cosa. Perché è un non essere che è.


giovedì 14 febbraio 2008

De magnis cordibus

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Oggi è San Valentino.

La mia pagina dei contatti di Messenger è inondata da cuoricini rossi, dappertutto. C'è chi ne mette uno, piccolino, solitario; c'è chi ne mette 10, c'è chi mette i puntini di sospensione dopo di esso, c'è chi lo completa con una frase. C'è chi lo usa al posto del proprio nome.

Qualcuno è disperato per il regalo; qualcun altro invece ha già passato una divertentissima giornata.

Qualcuno ammette pure di amare, ma tanto tanto tanto.
Come dire...
tatttttfxfxfx

Quanto amore in giro...

Beh, auguri a tutti i Valentino e Valentina!

domenica 2 dicembre 2007

Canta e cammina

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Come sogliono cantare i viandanti,
canta anche tu, ma cammina;
cantando consolati della fatica,
ma non amare la pigrizia;
canta e cammina!

Se progredisci, cammini,
ma devi progredire nel bene,
nella retta fede, nella buona condotta!

Canta e cammina.

Sant'Agostino, discorso 256.3


Non l'ho messo a caso.

lunedì 12 novembre 2007

Vedo e penso

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Avete presente la sensazione che viene quando ogni nuova scoperta che fate, in qualsiasi, ma proprio qualsiasi ambito, poi sembra essere soffocata?
Quando avete ricevuto un'ispirazione da un qualcosa di indefinito, che vi anima da cima a piedi, vi mette in agitazione, non smette di rodere nella testolina, ma poi vi guardate attorno e nessuno sembra esultare come voi, e abbassate la cresta?


Avevo notato che in un alloggio troppo piccolo anche i pensieri si striminzivano.


L'ho letto da qualche parte (un libro, accipicchia, non mi ricordo mai le fonti...).
Come se l'ambiente che ci circonda influisca in qualche modo nella nostra fantasia e capacità di spaziare.
Come se i pensieri dovessero, una volta prodotti, uscire e incanalarsi nei dintorni reali in cui viviamo.
Come se non fosse mai sufficiente ciò che ci sta intorno per amplificare la nostra idea.
Come se non ci fosse nulla di paragonabile, in termini di misure a portata d'uomo, alla grandezza di un'idea brillante.
E dove trovare il secondo termine di paragone?

venerdì 2 novembre 2007

Montagne

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Ieri siamo andati a fare un giro verso Ortisei, poi giù per Cortina d'Ampezzo.

Un bel giretto tra le montagne, un tragitto che lasciava stupiti solo per il paesaggio ridente, che faceva il magnifico potere di far scordare tutto.
Perché c'era un cielo pulitissimo, azzurro come non mai, uniforme e quasi artificiale.
Perché le montagne si tingevano di arancio, giallo, e tutte le sfumature che stanno fra l'arancio e il giallo, la maggior parte delle quali non ha nome.
Perché il bianco della neve era anch'esso compatto e contrastante con il calore del sole che splendeva e faceva riflettere e luccicare le rocce.
Perché le punte dei larici erano rosse, e un intero pendio di punte rosse annunciavano un indebolimento della vita delle piante, e sembravano tanti nasi rossi in preda a un raffreddore.
Perché il freddo fuori non pungeva, nonostante tutto.
Perché l'aria era tersa e silenziosa, eppure conteneva tanta vita.
Perché i pendii mi invogliavano a rotolare giù come una pigna.
Perché i tornanti mi facevano girare la testa.
Perché le valli erano metà al sole, metà all'ombra.
Perché l'acqua fresca di una sorgente ghiaccia la bocca mentre si sorseggia a piccole dosi.
Perché i giocattoli sono di legno.
Perché le case sembrano disegnate dalla fantasia di una bambina.

Perché tutto dà l'idea di purezza.

Sarebbe bene visitare uno stesso posto almeno più di una volta, dopotutto.

mercoledì 31 ottobre 2007

C'è un po' di freddo

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Che tristezza vedere anni di una giovinezza, così entusiasmante da vivere, buttati via senza consapevolezza, completamente persi nel nulla, smarriti in sentieri bui e freddi. E stasera si gelava davvero fuori.

Ma io mi chiedo perché. Non è mai abbastanza chiedersi e poi non rispondere, ma davvero vorrei sapere cosa governa le leggi della giovinezza di tante ragazze e ragazzi.
Io non lo so, non so rispondere, eppure sono lì, vicino a me, li vedo ogni giorno, parlo con loro ogni giorno.
Sarà forse una "moda". Ormai ci si rifugia dietro a questa parola come se niente fosse. Ma sì, è una moda, prendiamola con leggerezza e senza preoccupazioni inutili e superflue.
Davvero non sentono che qualcosa eppure manca, in generale? Odio il vuoto, mi fa paura.
Devo diventare capace a non stupirmi più di fatti così scontati.

E poi, io continuo ad aver freddo... brrrrr!!!

mercoledì 24 ottobre 2007

Piccola stima

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Cosa fa ogni singolo componente della razza umana se non parlare con altri suoi simili di tre principali argomenti?
Sapete quali?

1) Pettegolezzi.

2) Problemi.

3) Politica.

(AAAAAAAAH! Sono le tre P!!!)

Ma direi che il più sostanzioso è di gran lunga la componente dei problemi, quelli personali, beninteso.
Qual è il punto di riferimento di ogni persona, il luogo in cui dovrebbe esporsi di più, la cerchia che la fa parlare più apertamente di qualunque altra? La famiglia, certo.
E per quale motivo? Perché parliamo dei nostri problemi, includiamo pure dubbi, perplessità, desideri ostacolati.
C'è qualcosa di veramente banale che lega due grandissimi amici: pettegolezzi, problemi, politica.
Lo ammetto, non sono tra loro. E non per la banalità, ma per la grandissima amicizia.

martedì 2 ottobre 2007

Ecco.

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In memoria di giovani, vecchi, e tutti coloro che perdono legami con noi terreni, che rimaniamo qui ad aspettare un giorno, uno qualsiasi, per tutta la vita, e quando crediamo di esserne lontani, veniamo accolti, le porte si aprono, lasciando tutto qui sotto, affetti e dolori.
Prima o poi, capiremo e sperimenteremo che non è necessario fondare la propria vita su pilastri troppo terreni, perché sono i primi a scomporsi e a cedere. Poi, cosa rimane?

martedì 11 settembre 2007

Memoria

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Oggi, 11 settembre (2007).

venerdì 31 agosto 2007

Decimazione, dèka, dekjie...

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Decimazione.

Non deriva, secondo il sito www.etimo.it, dal greco dèka, come ritiene la massima parte, quasi se ne uccidesse uno tirato a sorte su dieci individui. Secondo questo sito, invece, deriva da una lingua ariana: dekjie, morte.

Io non so quale sia la versione corretta. Credo quella che tanti riconoscono ancora, ossia quella greca. Che centra tutto questo?

Beh, la visita del museo ebraico di Berlino (di cui ho parlato in questo post), come pure la lettura di Se questo è un uomo, mi ha dato occasione di riflettere su tanti concetti.

Perché lì la decimazione, poco importa l'etimologia, lì significava non più "fare fuori" 1 su 10, ma 10 per 1. Il rapporto veniva brutalmente invertito, come pure tanti aspetti erano ribaltati, dentro ai campi di concentramento; i deportati dovevano vivere una condizione che soltanto nei romanzi più artificiosi l'autore riesce a rendere, e far sentire come una sensazione fastidiosa, di disagio, nei lettori: lo straniamento. Ciò che era normale nella vita quotidiana sfumava e crollava anche nelle loro più ambite immaginazioni. Ciò che invece appare sconvolgente ai nostri occhi, lì era del tutto consueto. Monotono. Tedioso. Greve sui loro animi.

Beh, 1x10.
Per ogni folle che tentava disperatamente di salvarsi, ne risentivano altri 10. Che quell'uno fosse riuscito a salvarsi o meno, non ci badavano. Anzi, no: se fosse riuscito a salvarsi, facevano 11. Scusate.

martedì 21 agosto 2007

Ignoranza vs. Tamburino

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Un video tratto da Le Iene, programma che con abile ironia denuncia alcuni aspetti del mondo odierno.
Assaporate il video in tutte le forme di ignoranza che riscontrate in molti dei bersagli colpiti dalle telecamere nascoste e dai complici; Reazioni diversissime di fronte a una musulmana cammufata: diffidenza, incomprensione, addirittura pudore.
E, lo sottolineo, la maggior parte dei casi è semplicemente mancanza di informazione... ecco, si vede un'enorme fuoriuscita di ignoranza dalle bocche di queste persone.






Lo diceva anche il papà di Tamburino, il leprottino del cartone animato di Bambi, così carino e
simpatico per il suo "tic" di tamburellare il piede a terra...

Se non sai cosa dire, meglio non dire niente!

E Tamburino arrossisce così teneramente...
Ma gli uomini? No, loro sono troppo orgogliosi per farlo.

giovedì 2 agosto 2007

L'uomo pro/re-gredisce

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Ecco, questa sensazione di perdere ogni cosa che trascorre, anzi, che scorre via con il tempo.
Fuori c'è un'aria piacevolissima, una serata umidiccia, quel profumo di bagnato che risveglia percezioni autunnali e primaverili. Il tempo, là fuori, sembra essersi rassenerato con se stesso, il suo lavoro di rinfesco d'aria l'ha compiuto a suo dovere.
Perché tutte le creature e i fenomeni di questo mondo hanno un unico scopo, mentre l'uomo ne ha infiniti? E più passa il tempo, più se ne prefigge, più si ostina a fare, fare, fare... è sempre così pensieroso, deve trovare una soluzione a tutto, perché crede che più domande vengano fuori, più risposte bisogna dare. No. Lasciar passare, non sarebbe più semplice? (Lo dico proprio io!). Ad esempio... le nuvole vengono per buttare giù acqua. Stop. Le piante crescono per l'ossigenazione dell'atmosfera. Stop. Tutti gli animali nascono con l'unico scopo di sopravvivere e far sopravvivere, pardon, o far sopravvivere. E l'uomo? Lui no, invece. Lui è destinato a non avere un unico fine, perché qualcuno ha avuto la brillante idea di dargli un cervello per pensare.
Il suo pensare è stato il suo progredire. Mi chiedo ora se è veramente una progressione: vedo che l'uomo è capace di fare tanto male. Ci sono due strade possibili per ogni idea umana: una che fa crescere nel bene, una nel male. Ma ogni idea fa comunque crescere. Ci si costruisce questo muro di mattoni che si fabbricano ad ogni nostro sguardo, osservazione, attenzione, ad ogni lettura, ogni scrittura, ogni ascolto... da soli. Si costruiscono da soli, non ce ne rendiamo conto. Si saldano agli altri solo nel momento in cui li riprendiamo in mano, li applichiamo e li ripensiamo; da crudi come sono diventano cotti, grazie al sole del nostro intervento, del nostro agire cosciente.
Più l'uomo cresce, più l'innocenza scompare, perché egli inizia a cuocere tutti i mattoni a una velocità impressionante, robotica. Diventa rigido, inflessibile...
Pensare che una volta era un animale... un innocuo animale. E anche lui con uno scopo. Un semplice scopo. La mancanza di intelligenza come quella umana porta con sé un grande vantaggio, anzi due: il primo, è quello di non essere in grado di porsi domande e quindi problemi. Il secondo, è quello di non poter desiderare tale intelligenza, non conoscere dell'esistenza di tutte le gioie e i piaceri che ne potrebbero derivare, tutte le comodità, le soddisfazioni... Voglio dire, nessun animale è invidioso di noi.


P.S. Cercherò di dimenticare tutto quello che ho scritto in questo post perchè sarebbe troppo deprimente per me crederci sul serio per tanto tempo... Evviva l'intelligenza umana! (umana non vuol dire che si trova in TUTTI gli umani...)

lunedì 30 luglio 2007

Illusione...

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Non so perché, ma ho voglia di parlare di illusi & illusioni.
Oggi, si sente parlare di una persona illusa con l'accezione di "sfigato": un illuso è uno sfigato, uno che non si rende conto della reale situazione cui non è capace fare cima; uno, insomma, che non sa distinguere la realtà dalla fantasia dei suoi desideri. Ci si illude di solito per protezione, più o meno consapevolmente, e ci si chiude in una cappa che permette di non avere tanti contatti con l'esterno: una sorta di isolamento, il cui strato dipende dalla capacità di evadere. Certo che nel momento in cui uno si illude inconsciamente, non è nemmeno più in grado di allargare il divario fra realtà e sogno nella realtà. L'illusione è un sogno nella realtà, e nel divario c'è rischio che affoghi di tutto, anche punti fermi della propria esistenza e dei propri rapporti.

Io ho sentito parlare di schizofrenia, in questi casi.
Ma questa non è una semplice malattia di illusione, perché il vero problema di una patologia mentale simile è la CONVINZIONE. C'è differenza tra illusione e convinzione. Mi ricordo del bellissimo film "A beautiful mind", che aveva come protagonista John Nash, uno schizofrenico, appunto. La difficoltà più grande per lui è stata quella di ammettere l'esistenza di tale malattia, ammettere che in quel divario vi era sprofondata anche sua moglie e sua figlia, che confondeva con elaborazioni della sua mente, e che più abilmente riusciva a contestualizzare e incastrare nelle vicende di ogni giorno, e più esse si stagliavano ai suoi occhi come vere.
Tornando all'illusione, io credo che essa sia davvero una culla di gioia e di dolore. Perché dolore? Beh, è abbastanza ovvio: dal momento che si esce da un'illusione si soffre sempre. E' come essere risvegliati nel momento culminante di un sogno. Dà rabbia, no? Ma l'illusione è un sogno nella realtà, e la realtà fa più male che rabbia.

Io credo che le illusioni posteci dagli altri siano le più crudeli. Leopardi parlava della Natura come principale ispiratrice di illusioni, ma lui nei suoi testi descriveva paesaggi, elementi nei quali si rispecchiava e si lasciava andare... Si risvegliava sempre, però, alla fine. L'importante, dopotutto, è non piantarsi sulle illusioni, ma considerarle come una seconda alternativa.

Saper vivere con esse, non in esse.