sabato 14 luglio 2007

Un atto di...


Nella pagina di i-Google ho trovato questa notizia, ricavata dalla prima pagina del giornale la Repubblica, che, secondo me, ha del drammatico, non per il fatto in sé, ma per il pensiero che sta dietro a un atto simile.

Mestre, tre clandestini morti in tir frigorifero

Questa è l'intestazione dell'articolo del giornale, con il suo strambo consueto modo di scrivere, così schietto, ma a volte esageratamente distaccato. Alcuni articoli di giornale stupiscono per il loro tono emotivo che inseriscono, anche se il loro obiettivo principale è rapportare i fatti oggettivamente, illustrarli, nonostante spesso sia difficile anche questo.

Il problema dei clandestini è di grande attualità, non solo nel nostro Paese, ma in tutta Europa. Non sto qui ora a operare una serie di riflessioni che ormai sono arcinote a tutti, perché si trattano dei soliti ragionamenti che spuntano fuori quando si parla di immigrazione ecc.
Io credo ci voglia un po' di pazzia, tanto coraggio e soprattutto anche un po' di irresponsabilità per azzardarsi in un tentativo di fuga dal proprio Paese, senza avere nessun aiuto in tasca, nessun punto fermo da cui partire o cui giungere. Lasciare tutto al caso, o meglio, aprirsi man mano la strada, non lasciando nulla al caso.
Oppure, bisogna essere tremendamente disperati. Tutt'altro che abbandonarsi e rassegnarsi alla propria condizione... Questa gente non ha nulla da perdere, altrimenti non ne varrebbe la pena buttarsi in un pozzo dal quale salire è un'impresa spaventosamente difficile. Il pozzo è quello che si incontra quando si arriva in terra straniera, ossia nulla. Un pozzo fatto di nulla. Per questo poi si tende ad appellarsi a dei falsi rimedi, nei quali cercano una compensazione, almeno nell'apparenza, di questo vuoto: si cade nelle mani della malavita, ci si inceppa in giri di favoritismi, di compromessi, di vendette. Certo che questo è il passo successivo alla disperazione, è ancora peggio. Non so come chiamarlo... eppure deve avere un nome. Un fenomeno così riscontrato DEVE avere un nome preciso.
Ci sono altri, invece, che diventano ciechi di fronte alla disperazione: non hanno più il senso del pericolo, anche quello ovvio, imminente; per esempio, rischiare di rimanere congelati in un frigorifero a lungo andare. Forse ho sbagliato prima a parlare di pazzia: non esiste la pazzia in una fuga, perché la pazzia è una "dote" che si tiene sempre, non che si improvvisa soltanto in alcune circostanze.
Ogni cosa in questo mondo può essere sfruttato in due sensi: uno negativo e uno positivo. Qualsiasi cosa, ma proprio tutto.

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